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Ero lì nell’angolo contro il muro del retropalco del grande teatro di Colonia. Dimenticato. Un tempo facevo cantare, sognare, commuovere, sorridere, ballare.

 Era la vita. Accanto a me, altri compagni di sventura, altri strumenti, non ultimo un quasi gemello. Dico “quasi” meno conciato di me. Rispetto a lui io ero proprio un rincoglionito ero scordato di tutto e da tutti. Ero inutile come un capitano di marina San Marino, un itterico in Giappone, di una sega al Resegone. “Prendi quel Bosendorfer sulla destra, ce ne sono due, prendi quello sulla destra mi raccomando!” Il facchino doveva essere mancino o capiva poco il tedesco, sta di fatto che si confuse e prese me che stavo sulla sinistra, anziché quell’altro. E mi portarono sul palco. Arrivò una testa riccia riccia e dei baffi neri appartenenti ad un certo Keith si sedette, a testa china iniziò a studiarmi, ad accarezzare i miei tasti. Scosse la testa e mi guardò in silenzio. Dall’altra parte del sipario iniziava a sentirsi un vociare. Cosa succederà adesso? Ad un certo punto si aprì il sipario, applausi! L’uomo con i baffi e con il cespuglio in testa si sedette sullo sgabello  accarezzò i miei tasti! Che cosa aveva intenzione di fare? Voleva suonare davanti a tutta quella gente? Ma oltre ad essermi dimenticato di come si faceva ero pure scordato! Lo sapeva? Evidentemente no, quindi era un folle! Non era possibile. Solo un miracolo. ma poteva accadere un miracolo a me?”  E tutto ebbe inizio, nulla sarebbe stato uguale a prima. Il genio che trasforma la realtà, pur misera, ma la trasforma. Ecco io sono il pianoforte  scordato, ma è il genio della realtà ogni giorno mi da l’opportunità di cambiare.

 
“Tratto dal Capitolo 18 di C’erano Rossini, Ginevra e i Cannoli Siciliani”

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